Se a livello nazionale il rapporto ormai è di uno a uno, nel Mezzogiorno, invece, c’è già stato il sorpasso; stiamo parlando del confronto tra il numero delle pensioni erogate e quello degli occupati. Se in Italia il primo è pari a 22.772.000 e il secondo ammonta a 23.099.000, nel Sud le pensioni pagate ai cittadini sono 7.209.000, mentre gli addetti sono 6.115.000. Un risultato preoccupante che dimostra con tutta la sua evidenza gli effetti di tre fenomeni strettamente correlati fra loro: la denatalità, l’invecchiamento della popolazione e la presenza dei lavoratori in nero. La stretta combinazione tra questi eventi sta riducendo progressivamente il numero dei percettori di reddito regolari, ingrossando, per contro, quello degli assegni pensionistici erogati. A dirlo è l’Ufficio studi della CGIA.
Dopo la Lombardia, il Veneto è la regione d’Italia più virtuosa, ovvero quella dove il saldo risultante dalla differenza tra il numero di lavoratori occupati e il numero delle pensioni erogate è positivo. Nel 2022 nella nostra regione è stato pari a +342 mila. A livello provinciale spiccano i risultati di Verona (+86 mila), di Padova (+74 mila) e di Vicenza (+67 mila). L’unica realtà in Veneto che presenta uno squilibrio è Rovigo (- 9 mila).
Sebbene nel Veneto il problema sia meno avvertito che in altre parti del Paese, il trend anche da noi è destinato a peggiorare. In altre parole, si sta riducendo la base occupazionale, mentre aumenta quella dei pensionati. Come possiamo invertire la tendenza? Innanzitutto portando a galla una buona parte dei lavoratori “invisibili” presenti nel Paese che ogni giorno si recano nei campi, nelle fabbriche e nelle abitazioni degli italiani a svolgere la propria attività lavorativa irregolare. E’ altresì necessario incentivare ulteriormente l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro, visto che siamo fanalino di coda in Europa per il tasso di occupazione femminile (in Italia è pari al 50 per cento circa). Inoltre, bisogna rafforzare le politiche che incentivano la crescita demografica (aiuti alle giovani mamme, alle famiglie, ai minori, etc.) e allungare la vita lavorativa delle persone (almeno delle persone che svolgono un’attività impiegatizia o intellettuale). Da ultimo è necessario innalzare il livello di istruzione della forza lavoro che da noi è ancora tra i più bassi di tutta l’UE. Se non faremo tutto ciò in tempi relativamente brevi, fra qualche decennio la sanità e la previdenza sono destinate seriamente a implodere.
Un Paese che registra una popolazione sempre più anziana potrebbe avere nei prossimi decenni seri problemi a far quadrare i conti pubblici; in particolar modo a causa dell’aumento della spesa sanitaria, pensionistica, farmaceutica e di assistenza alle persone. Va altresì segnalato che con una presenza di over 65 molto diffusa, alcuni importanti settori economici potrebbero subire dei contraccolpi negativi. Con una propensione alla spesa molto più contenuta della popolazione giovane, una società costituita prevalentemente da anziani rischia di ridimensionare il giro d’affari del mercato immobiliare, dei trasporti, della moda e del settore ricettivo (HoReCa). Per contro, le banche potrebbero contare su alcuni effetti positivi; con una maggiore predisposizione al risparmio, le persone più anziane dovrebbero aumentare la dimensione economica dei propri depositi, facendo “felici” molti istituti di credito.