Meriem vuole tornare a casa mille dubbi sul suo destino

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Il papà, la mamma, due amiche del cuore, la prof, l’impiegata dell’agenzia di viaggi da cui acquistò il biglietto aereo, il pakistano che la portò in aeroporto, e la studentessa turca che condivise il volo verso Istanbul e le prestò il cellulare per una telefonata strategica. Sono alcuni dei testimoni – undici in tutto – che la pm di Venezia Francesca Crupi ha citato in apertura del processo a carico di Meriem Rehaily, la 21enne marocchina di Arzergrande accusata di essere la prima foreign fighter veneta arruolata nelle fila dell’esercito dell’Isis in Siria come “Sorella Rim, soldato dell’esercito informatico del Califfato”. La Procura antiterrorismo le contesta l’articolo 270 quater del codice penale, ovvero l’arruolamento con finalità di terrorismo internazionale. «Non vedo l’ora di tagliare teste», aveva scritto Meriem a un’amica. E alla mamma, dopo essere arrivata in Turchia: «Ci rivedremo in paradiso». L’ultima telefonata. È settembre 2016 quando Meriem contatta il padre. Gli ripete che vorrebbe tornare ma non ce la fa, come peraltro gli aveva già detto. Da allora, otto mesi di silenzio. E mille dubbi sul destino della foreign fighter.

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