Epatite C, percorso per il trattamento

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“Il percorso di Test & Treat è una strategia che viene utilizzata oggigiorno ed è stata forse presa in eredità anche dal campo dell’HIV, perché si è visto che i pazienti rimangono in cura più facilmente, il cosiddetto ‘linkage to care’, se vengono testati e trattati nel tempo più breve possibile. In effetti ci sono studi internazionali dai quali è emerso che, in particolare i pazienti che fanno uso di sostanze per via iniettiva, se saltano gli step previsti nelle condizioni normali e passano immediatamente al trattamento, ottengono risposte virologiche sostenute alla terapia più elevate rispetto al modello standard di cura, che prevede il test, gli esami di secondo livello, l’incontro con il medico, la prenotazione di ecografia, Fibroscan, la restituzione degli esami e l’inizio della cura. Invece, da altri studi si è visto che si può consegnare direttamente la cura al paziente, in attesa della risposta del test. Il paziente riceve la risposta telefonica e può iniziare immediatamente la cura, salta i controlli e le visite e, a fine terapia, fa il controllo finale”.
Lo ha spiegato la dottoressa Marina Malena, Responsabile UOS Osservatorio Infettivologico Aziendale- Azienda ULSS 9 Scaligera, intervenuta in occasione del corso di formazione ECM sulla gestione dei tossicodipendenti con epatite C, organizzato dal provider Letscom E3 con il contributo incondizionato di AbbVie.
Il corso, dal titolo ‘Il ruolo dei ser.D. nei percorsi facilitati di point of care per il trattamento dell’hcv nei consumatori di sostanze- Best practice ed esperienze a confronto sul territorio del Veneto Occidentale’, rientra nell’ambito di ‘Hand- Hepatitis in Addiction Network Delivery’, il progetto di networking a livello nazionale patrocinato da quattro società scientifiche (SIMIT, FeDerSerD, SIPaD e SITD) che dal 2019 coinvolge i Servizi per le Dipendenze e i Centri di cura per l’HCV afferenti a diverse città italiane”.
La dottoressa Malena ha poi tenuto a precisare che non esistono criteri più restrittivi per l’arruolamento in terapia. “Mentre in epoca pre-farmaci Daa, i cosiddetti farmaci antivirali ad azione diretta- ha ricordato- si usavano terapie come l’interferone, il peginterferone e la Ribavirina, che avevano pesanti effetti collaterali; quindi, era molto difficile tenere i pazienti in terapia, soprattutto pazienti difficili e complessi come nel caso di chi fa uso di sostanze, questi farmaci sono molto efficaci e molto ben tollerati. Ecco perché non ci sono restrizioni per i pazienti che fanno uso di sostanze. Addirittura, anche per i pazienti che utilizzano sostanze in fase attiva, e non solo con una storia pregressa di tossicodipendenza, non ci sono interazioni particolari con le terapie sostitutive utilizzate. Quindi è importante trattare anche tutti questi pazienti come pazienti che non usano sostanze, perché si ottengono alte risposte e, soprattutto, si riduce la trasmissione dell’infezione. Si riduce,quindi, l’incidenza e la prevalenza dell’infezione da HCV anche in queste popolazioni”.
Al corso ha preso parte anche il dottor Salvatore Lobello, Dirigente Medico, Ser.T. Padova- Azienda ULSS 6 Euganea, che ha inizialmente fatto il punto sulle politiche di screening nella regione Veneto.
Per quanto riguarda, invece, la popolazione generale, si sta facendo un’azione sulle persone nate in fascia di età tra il 1969 e il 1989 e, allo stato attuale, siamo partiti in regione Veneto il 16 maggio e si sta portando avanti questo percorso con la partecipazione sostanziale di tutte le ULSS. Chiaramente siamo ancora in una fase iniziale e, ad esempio, nella ULSS 6 Euganea, dagli ultimi dati risulta che sono stati effettuati 4.200 prelievi e che i positivi sono circa lo 0,5% del campione, ovvero circa 18 persone.