“Siamo l’esercito del selfie”

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Ho trascorso queste vacanze estive al mare, visitando una delle belle isole che arricchisce e ornamenta la nostra penisola. Nonostante abbia condotto uno stile di vita abbastanza solitario, mi è capitato di incontrare in altra gente, intenta come me a scoprire lembi di terra possibilmente, ma difficilmente, non ancora battuti. Il paesaggio era mozzafiato e io mi perdevo a osservare quello che mi circondava: acqua cristallina, folta vegetazione, un’alternanza di rocce granitiche e dolomitiche che assumevano sfumature dal rosa all’aranciato in base alla luce che il sole rifletteva nell’acqua e… tanti selfie. Anzi, tantissimi selfie. Gente che assumeva le posizioni più astruse per mostrarsi ai follower; addirittura, un ragazzo si era arrampicato sul cucuzzolo della scogliera e si esponeva tanto da cadere quasi, per mettersi in posa. Ora, dico io, è vero che siamo la generazione dei social, di cui io per prima faccio parte, ma è mai possibile tutta questa frenesia del condividere? Ma soprattutto, l’aspetto che più mi ha lasciata di stucco è la naturalezza con cui la gente impersonava il ruolo adesso di modella, poi di regista, di posatore o di fotografo. L’aspetto positivo è che la scienza non si ferma mai e che tutte queste esasperazioni– perché è l’eccesso che poi esula dalla normalità – diventano oggetto di studio della ricerca. I social network ci espongono al mondo esterno più di quanto crediamo e l’idea è quella di poter sfruttare questa stessa finestra cui noi ci affacciamo come opportunità per un precoce riconoscimento (e quindi di un successivo intervento) dei disturbi psichiatrici. A questo scopo, il dottor Danforth della Vermont University idealizza una metodologia per analizzare i dati direttamente derivabili dalle foto pubblicate su Instagram, con l’intento di eseguire uno screening predittivo del disturbo depressivo. Mettendo a confronto due gruppi di volontari (uno sano e uno affetto da depressione) dallo studio parrebbe che le persone che soffrono del disturbo dell’umore siano più inclini a pubblicare immagini dai colori cupi, in bianco e nero o senza l’utilizzo di filtri; sembra inoltre che tendano a utilizzare maggiormente i social network rispetto al gruppo di controllo sano. Quindi, qualcosa di buono possiamo farlo: continuiamo nelle nostre pubblicazioni e sosteniamo il progresso scientifico!

 

camillatombetti@gmail.com

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